Confident Frank, la giovane promessa della danza in scena con “Davidson”

Confident Frank, talentuoso danzatore diciannovenne modenese, sarà in scena insieme a Maurizio Camilli il 10 e 11 dicembre al Drama Teatro di Modena e il 16 e 17 dicembre al Teatro Arena del Sole di Bologna in Davidson, spettacolo ideato e scritto dallo stesso Camilli, con coreografia di Michela Lucenti.
Dopo un percorso da autodidatta nell’Hittemfolks, stile di ballo ipercontemporaneo legato alla street culture, Confident Frank ha incontrato la compagnia Balletto Civile di Michela Lucenti, e grazie al suo talento e alla sua naturale espressività, gli è stato affidato il palco per questo spettacolo tratto da Il padre selvaggio, una sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini per un film mai realizzato e pubblicata postuma. In questa intervista, Confident Frank ci racconta la sua storia e il suo amore per la danza fino al decisivo incontro con Balletto Civile.

Come nasce il tuo nome?

«Confident Frank non è un nome d’arte, bensì il mio vero nome, dietro al quale c’è la storia della mia nascita. Per mia madre la gravidanza è stata molto a rischio, tanto che c’era il pericolo che non riuscissi a nascere. Per questa ragione i medici le hanno suggerito di interrompere la gravidanza per non correre rischi, ma essendo la mia famiglia molto cristiana, i miei genitori hanno deciso di affidarsi a Dio confidando nel fatto che sarei nato sano e salvo, e così è stato. Perciò hanno scelto di darmi il nome Confident: volevano che crescendo la mia immagine riflettesse il mio nome ed effettivamente mi ci riconosco moltissimo, poiché rappresento la storia di una scommessa e della fede.
Frank invece è il mio cognome e anche questo ha una storia particolare: è infatti il nome di mio padre, perché nella nostra tradizione il nome del padre viene assunto come cognome dal figlio».

Come è iniziato il tuo percorso nella danza?

«Ho sempre amato ballare. Fin da piccolo ho avuto una forte connessione con il ritmo e la danza, ma non ho mai preso questa dimensione troppo sul serio, essendo qualcosa di molto naturale per me. Questa passione che mi accompagna da sempre, legata anche alle mie origini e alla cultura dei miei genitori (mio padre è liberiano e mia madre nigeriana), è divenuta più seria grazie all’incontro con due amici. Il primo, che considero tuttora il mio mentore, è Justin Ofori, un danzatore molto conosciuto in Italia: guardando i suoi video mi sono appassionato al suo stile, che si chiama Hittemfolks ed è simile all’hip hop ma anche molto diverso, perché è in base tre mentre l’hip hop si basa sul conto quattro. Il secondo è il mio amico Isma, che mi ha spinto a ballare insieme nella saletta Happen a Modena. Poi, nel 2019 è arrivato il teatro grazie all’incontro con Balletto Civile. Sin da piccolo mi immaginavo a fare teatro, perché mi è sempre stato detto che avevo un particolare talento o una certa tendenza teatrale che ho trasferito nel ballo al livello di espressività. Quando ballo è come se volessi raccontare una storia e cerco sempre di intrattenere chi ho davanti. Non ballo per me ma per gli altri, anche se sono da solo. Mi hanno sempre detto che avevo qualcosa di speciale, ma essendo una persona molto umile non mi ero mai soffermato su questo aspetto. Ciò che mi è sempre piaciuto fare è far sorridere le gente intorno a me con il mio ballo: è come se dall’energia della danza si espandesse una bolla nella quale riesco a includere gli altri».

Come hai conosciuto Michela Lucenti e Balletto Civile?

«Un giorno come tanti stavamo ballando nella saletta Happen e il gestore, Alex, ci ha chiesto se fossimo interessati a un’audizione organizzata da Balletto Civile. Si trattava del progetto di uno spettacolo semi-amatoriale, 10 Di/Versi, nel quale avrebbero preso parte dieci persone con background diversi che avrebbero raccontato ognuno a proprio modo la loro storia, per mezzo di un discorso, del canto o del ballo. Io non potevo che ballare. Appena entrato all’audizione ero molto teso, ma poi quando ho iniziato a danzare mi sono improvvisamente sentito leggero, mi sono illuminato di blu. Ho sempre immaginato il colore blu per il ballo, perché quando danzo mi sento così leggero da poter volare, mentre il colore viola lo considero una sorta di upgrade del blu. Nelle giornate migliori il blu diventa viola e quella leggerezza si fa esplosiva. Ho conosciuto così Michela Lucenti e tutto il Balletto Civile, ai quali sono profondamente grato perché mi hanno fatto conoscere l’ampiezza del ballo e della danza come un mondo vastissimo nel quale c’è sempre da apprendere. Con loro ho imparato a essere un attore oltre che un danzatore. Dopo 10 Di/Versi ho preso parte allo spettacolo Tell me a story, nel quale ho danzato con due amici, Thomas e Ana, e ho avuto un’esperienza molto formativa all’interno di una coreografia di gruppo».

Raccontaci qualcosa riguardo al tuo nuovo progetto Davidson.

«Dopo 10 Di/Versi e Tell me a story mi è stato proposto un nuovo spettacolo dove sarò in scena insieme a Maurizio Camilli, e non mi sono certo lasciato sfuggire questa grande possibilità. Si tratta di qualcosa di molto diverso rispetto a ciò a cui sono abituato di solito, perché è uno spettacolo di grande impatto e penso che riuscirà a sorprendere il pubblico. L’idea che c’è dietro è quella dell’accostamento di un ragazzo di colore e di un professore europeo, tra i quali si instaura una dinamica molto interessate. Se normalmente, nella relazione tra professore e alunno, è il professore a insegnare all’alunno, nello spettacolo le due figure, danzando sulla scena, si troveranno sullo stesso livello in modo che anche il ragazzo possa dare lezioni di vita al professore. La provenienza da due mondi molto diversi, trasferita nell’espressività del teatro-danza, permette di andare oltre la classica dinamica tra professore e studente, innescando un fecondo incontro-scontro tra culture, ideologie e mondi diversi».

intervista a cura di Jacopo De Luca

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